Bologna 2004
“Seguo da molti anni il lavoro di Franco Filippi e gli ho sempre riconosciuto una interessante e originale proprietà che sta nel sapersi muovere tra le due e le tre dimensioni: le sue superfici, quale ne sia la natura e la tecnica di copertura, riescono sempre a dar luogo a delle aggettante, minute, mai clamorose, eppure sensibili e verificabili, non solo con gli occhi ma perfino col tatto, così da simulare delle epidermidi ben più corpose di quelle che per consuetudine appartengono alle tele destinate alle “belle arti”.
La produzione di questi ultimi tempi, per esempio, muove dall’assunzione di tele grezze che l’artista sottopone a un trattamento molto personale: in sostanza, la spiegazza, imprime su di loro corrugazioni, spessori, facendo in modo che questi dettino la loro legge alle stesure di colore o di pasta con cui vengono coperte. Dopodiché Filippi torna a distendere queste sue lenzuola, o sudari, o veroniche, quasi nel tentativo di far rientrare nella bidimensionalità quel rilievo pur volontariamente inflitto. Ma naturalmente questa specie di pentimento tardivo non funziona, la superficie conserva impressa nella sua memoria profonda, nella sua stratificazione, la violenza subita, e insomma non si può cancellare quel pur delicato e timido affaccio su una plasticità dichiarata.
Se si vuole, il nostro Filippi si iscrive così in una tipica problematica degna di quel non trascurabile movimento francese che si è espresso nel binomio “Support/Surface” e che è stato il più valido contributo giunto dai cugini d’oltralpe alle tematiche sessantottesche.
Questo trattamento volutamente “ambiguo” sprigiona da sé tutta una serie di significati anch’essi posti nel segno dell’allusione , della polisemia. Che cosa sono, questi tratti di tessuto, da quale realtà l’artista li ha carpiti, estratti, dissotterrati, o violentemente sradicati? Si pensa quasi all’azione crudele con cui i Pellerossa, a noi cari attraverso l’epopea western, estirpavano gli scalpi delle loro vittime; o invece è il prelievo di un abbondante palmo di humus percorso dalla ramificazione sottile, non tanto di radici, quanto di rizomi? Ma siamo sicuri di essere di fronte a una realtà appena colta, qui e ora, o non piuttosto a uno scavo archeologico che giunga a riportare alla luce qualche strato geologico dove trovaano posto i resti fossili di vita vegetale?
O non sarà un brano di epidermide strappato a qualche creatura mostruosamente rugosa e ripugnante giunta fino a noi dagli abissi stellari? Certo è che il mondo di Filippi, da sempre, insiste su una gamma di esperienze che recano le tracce di qualche inquinamento, di qualche lebbra fatale, da cui traggono uno straordinario potere di fascinazione, e anche un acre e stimolante titillamento, quasi da agopuntura inflitta alla nostra sensibilità, chiamata a confrontarsi con delle pelli arcane di così enigmatica provenienza”.
Presentazione della mostra alla Galleria Ciovasso di Milano (1973)
La definita coscienza plastica di Filippi, un giovane artista che è giunto ad esprimersi in maniera totalmente diretta al di fuori di qualsiasi canone estetico, scava dal di dentro l’essere umano visto centro, produttore e prodotto della storia e della tradizione. La durezza spietata delle sue immagini diviene condanna di ogni lirismo introspettivo e di ogni contemplazione così come l’uso della violenza più cruda non resta attrezzatura mentale o gesto passionale e irrisolto, ma diviene rapporto coerente fra scultore e pubblico, fra mondo privato e mondo reale visto nei suoi aspetti più esasperati. Un rapporto cementato dalla posizione morale dell ‘artista che come uomo sociale vede mutilarsi la società intorno dalla violenza irrazionale di pochi.
Il realismo concitato delle sue figure, spaventapasseri toccati dal fulmine, tetre marionette decorate di sangue rappreso, squarcia le viscere dell ‘uomo e lo viviseziona, alla ricerca di una creatività dietro la morte; le atmosfere bloccate nell’analisi netta penetrano a fondo la realtà dei soggetti e degli oggetti; le forme strutturate con aspra precisione diventano comunicazione aperta e tagliente. E’ arte di contenuto questo grido moderno da gelide scorie umane raggelanti, da spazi colmi di relitti della vita avviliti dalle torture, arte tanto più autentica ed efficace perchè documento del travaglio intimo dell’artista quando ancora il martirio senza perchè del Vietnam era in atto e ancora adesso che altri martirii senza perchè umano straziano altre popolazioni. E questo se vogliamo leggere il lavoro di Filippi da un punto di vista soltanto descrittivo perchè, se ce ne appropriassimo dal punto di vista del “simbolo”, sentiremmo l’indicazione precisa della tortura e della mutilazione che ogni giorno si va facendo alla nostra interezza di uomini.
Le sue figure affondano le radici in quella tradi-zione popolare che vedeva Gesù Cristo trafitto dalla lancia; e del sangue uscito dal costato squarciato dalla flagellazione faceva oggetto di culto e fatto sacro perchè centro di sensi e di geometrie irrazionali a tutti comuni: quando il Gesù Cristo di oggi è quotidianamente bruciato con il napalm.
Presentazione della mostra alla Galleria S. Luca di Bologna (1994)
….tanto dinamismo era già nei dipinti originari della fase del Battibecco, che si caratterizzava per il fatto di disseminare minare sul foglio, quà e là, come dei germi, dei microorganismi acri, pungenti , quasi insofferenti, appunto, di quella superficie che pure cercava di ospitarli, di trattenerli.
…..se guardiamo i lavori …..essi sembrano derivare dal gesto elementare dello schiacciare su piano qualcosa che in origine si trova su un rilievo ; l’eccedenza dei tessuti dà luogo ad una tramatura di pieghe che disegnano il motivo di bellissimi arabeschi, reticoli, arborescenze.
O forse, il vello gonfio e spesso da cui quelle trame sono ricavate è stato allontanato,dopo che l’impronta se ne è stampata sul foglio e ora, semmai, ci resta l’interrogativo enigmatico di cercaredi scoprire quale fosse mai l’oggettodell’imprimitura, se esso avesse una natura animale o vegetale; e se l’impronta stessa sia avvenuta poco tempo fa, giunga a noi pertanto fresca, o se invece si sia compiuta secoli, millenni or sono, sottostando di conseguenza a lunghi processi di fossilizzazione.
…nella continua oscillazione tra le due e le tre dimensioni, talvolta si dà anche il caso che Filippi decida di non decidere, e si fermi allora a metà strada in un ambito di magica sospensione, dandoci come dei bassorilievi ; quei suoi velli, pellicce, spoglie di favolosi animali preistorici o di creature mostruose non vengono compressi del tutto su piano, anche se l’azione comprimente è già cominciata, e dunque li riduce, ma non del tutto; e le pieghe, i solchi,le incisioni mantengono un minimo di rilievi , anche se disegnano in modo sempre più evidente la loro trama di superficie.